venerdì 20 luglio 2012

Ultrasuoni contro le disfunzioni cerebrali...


Una nuova tecnica di stimolazione del cervello basta su ultrasuoni consente di diagnosticare e trattare in modo non invasivo alcune disfunzioni cerebrali. La tecnica è stata sviluppata da ricercatori della Arizona State University diretti da William "Jamie" Tyler, che la descrivono in una articolo pubblicato sulla rivista Neuron.

Epilessia, Parkinson, dolore cronico, distonia, depressione, psicosi e anche casi di coma sono a volte trattati con tecniche come la stimolazione magnetica transcranica, o la terapia elettroconvulsivante, ma soffrono di una intrinseca debolezza: la scarsa risoluzione spaziale permessa da questi strumenti, mentre l'impianto di elettrodi ha l'inconveniente di essere una procedura chirurgica invasiva.

La nuova metodica, finora sperimentata sul modello animale, permette di "stimolare risposte motorie confrontabili con quelle finora ottenibili solamente con l'impianto di elettrodi", ma senza essere così invasiva, osserva Yusuf Tufail, primo firmatario dell'articolo.

"Da oltre 80 anni sappiamo che gli ultrasuoni possono influenzare l'attività nervosa", ha detto Tufail. "Nel nostro studio abbiamo usato gli ultrasuoni per stimolare direttamente i potenziali d'azione e indirizzare l'attività del cervello lasciandolo intatto, senza alcuna procedura chirurgica." Le apparecchiature utilizzate hanno permesso una risoluzione spaziale delle aree stimolate di appena un millimetro.

Nel corso degli esperimenti, i ricercatori hanno anche scoperto che gli ultrasuoni usati per stimolare aree sottocorticali più profonde possono modificare le capacità cognitive: Siamo stati sorpresi dallo scoprire che gli ultrasuoni attivavano onde cerebrali nell'ippocampo, secondo schemi di attività che sappiamo essere legati a certi stati comportamentali e alla formazione dei ricordi".

Gli ultrasuoni hanno anche stimolato la produzione nell'ippocampo di BDNF, il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale che è uno dei più potenti regolatori della plasticità cerebrale.

Secondo Tyler, queste scoperte inducono a pensare che in futuro gli ultrasuoni possano essere impiegati per aumentare le prestazioni cognitive, forse anche per contrastare situazioni di deficit come nel caso di ritardo mentale o di Alzheimer.

Quanto alla sicurezza del metodo, osservano i ricercatori, "abbiamo esaminato molteplici aspetti relativi alla salute cerebrale trovando, nel topo, che gli ultrasuoni di bassa intensità sono sicuri anche dopo ripetute stimolazioni".


La Difesa nella mente dei soldati

LA D.A.R.P.A. STA SVILUPPANDO UNA NUOVA TECNOLOGIA AD ULTRASUONI PER PROTEGGERE LE TRUPPE U.S.A. DALL’INSORGENZA DI DISORDINI MENTALI E INCREMENTARNE LE PRESTAZIONI. MA QUANTO E’ GRANDE IL RISCHIO, IN FUTURO, DI UN SEMPRE MAGGIORE CONTROLLO SULLA MENTE DEI SOLDATI?


 
E’ quello che in tanti temono da sempre, è quello che adesso sta per diventare realtà. Bisognava solo aspettare per avere riscontri e notizie certe. Adesso è ufficiale: la Difesa americana, attraverso il suo braccio di ricerca scientifica (la D.A.R.P.A.) sta puntando alla modificazione del normale funzionamento cerebrale dei propri soldati tramite l’utilizzo di ultrasuoniIl progetto di ricerca Blue-Sky si inserisce nella corsa che la D.A.R.P.A. ha intrapreso in questi ultimi anni verso l’integrazione della Biologia, dell’Information Technology e dello studio dei sistemi micro-fisici, sfruttando un budget che solo negli ultimi tre anni ha superato i 150 milioni di dollari.Avevo già parlato di come la neurotecnologia avesse fatto passi da gigante, di come col progetto Neuroprobes si stia per riuscire a sviluppare una tecnologia capace di “spegnere, accendere o riaccendere” determinate aree del cervello, costituendo un’incredibile promessa nel trattamento di gravi disfunzioni o malattie, come nel caso dell’Alzheimer o dell’Autismo.
Ebbene, la ricerca della D.A.R.P.A., nell’ambito del progetto REPAIR (acronimo di Reorganization and Plasticity to Accelerate Injury Recovery), da un lato è finalizzata a questo stesso obiettivo, attraverso lo sviluppo di impianti cerebrali che avranno il compito di “sostituirsi” alla materia grigia danneggiata.
Tutto ciò passa dalla ricerca di metodi sempre più efficaci nell’analizzare e decodificare i segnali neurali, in modo da realizzare stimolazioni che operino con sempre minore approssimazione. Il progetto, al quale partecipano anche la Brown e la Stanford University, avrà principalmente il compito di costituire un’efficace terapia contro disfunzioni cerebrali come le “Traumatic Brain Injuries” (o TBI) che affliggono molti dei soldati americani di ritorno dall’Iraq e dall’Afghanistan, permettendo un recupero accelerato.Ma come ho detto, questo è solo un ramo della ricerca. L’altro non ha semplicemente un compito curativo nonostante nasca come risposta a trattamenti invasivi come il DBS (deep-brain stimulating) e come evoluzione del TMS (Transcranial magnetic stimulation). Innanzitutto vediamo cosa si sta superando: il DBS consiste nell’elettrostimolazione del cervello -usata per combattere il Parkinson- attraverso degli elettrodi, ma necessita di un intervento chirurgico per impiantare tanto gi elettrodi quanto le batterie.Come anticipato, il progetto portato avanti dalla D.A.R.P.A. e diretto dal Dott. William J. Tyler dell’Arizona State University risulta un’evoluzione del TMS, ma solo perché anch’esso basato sulla stimolazione non invasiva. Per il resto le strade si divaricano completamente, in quanto l’approccio portato avanti da Tyler è strutturato sull’utilizzo degli ultrasuoni.
 
In particolare il progetto di Tyler e della D.A.R.P.A. è catalogato sotto il titolo “Development of Pulsed Ultrasound for Noninvasive Neural Interfaces” e prima di approdare alla D.A.R.P.A. è stato finanziato dall’U.S. Army Research, Development and Engineering Command (RDECOM) e dall’Army Research Laboratory (ARL). Nella sua prima fase, questa ricerca era finalizzata allo sviluppo di metodologie atte alla codifica di dati sensoriali nella corteccia usando impulsi ad ultrasuoni. Oggi si è passati ad una nuova fase nella quale l’obiettivo ultimo sarà lo sviluppo di applicazioni di neurotecnologia per le truppe americane. Alla D.A.R.P.A. stanno continuando ad esplorare le possibilità permesse dagli ultrasuoni sul condizionamento delle funzioni cerebrali.Ma lo sviluppo è andato talmente avanti che le premesse iniziali sembrano prossime ad essere superate e si pensa anche a soluzioni “invasive”, ovvero all’utilizzo (e precedentemente allo sviluppo) di microscopici trasduttori ultrasonici per una più diretta stimolazione cerebrale.

Tuttavia la realizzazione di questa nuova tipologia di nanoimpianti -che costituirebbe una sorta di evoluzione congiunta del DBS e del TMS- si colloca in un futuro più lontano di quello in cui l’approccio non invasivo troverà applicazione diretta sui campi di battaglia.I primi risultati raggiunti dagli ultrasuoni ad impulsi avevano infatti già evidenziato un raggio d’azione (portata) enormemente aumentato rispetto al TMS, dimostrando possibilità pratiche quasi immediate e portando al precoce sviluppo di applicazioni per l’ambito militare.Comprendere il funzionamento delle reti neurali del cervello significa anche avere la possibilità di andare a modificare eventuali parametri fuori norma o alterarne altri per produrre reazioni che possono variare dalla Riduzione dello stress e dell’ansia al controllo del panico alla possibilità di un prolungato stato di attenzione e vigilanza.
 
Nella pratica l’obiettivo è sviluppare una sorta di superelmetto, dotato di trasduttori ultrasonici e altri microdispositivi di controllo in grado di trasformare uno degli elementi di protezione passiva per eccellenza in uno strumento di protezione attiva, dando la possibilità ai medici di intervenire immediatamente sui parametri neuronali dei soldati e riducendo il rischio dell’insorgenza di TBI.L’altro lato della medaglia, tuttavia, è piuttosto evidente. Si parla di stimolazione cerebrale, si enfatizza la possibilità di influenzare –e incrementare- le capacità cognitive umane, così come quelle legate alla veglia e all’attenzione. E quando si arriva a parlare anche di “Behavioral Reinforcement” bisogna chiederci immediatamente si si parla di rafforzamento o di stravolgimento.Siamo di fronte ad una nuova era o all’affermarsi dell’incubo di uomini sotto il completo e totale controllo di altri uomini? Quale sarà il prossimo passo? Siamo sicuri che questa tecnologia non impari -o non abbia già imparato- a modificare la soglia della paura, nel tentativo di creare uomini invincibili, pronti a sacrificare la propria vita per uno stimolo indotto? Speriamo che questa si riveli solo una paranoia, un dubbio infondato. Perché i primi prototipi di questi elmetti sono già pronti. E il futuro oggi appare piuttosto oscuro.

    fonte : http://nautilusmagazine.blogspot.com




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